Puccini profeta della modernità

Puccini profeta della modernità

L’apertura della nuova stagione lirica di Lecce è dedicata ad uno dei titoli più amati e rappresentati del repertorio operistico italiano: Bohème. Questa occasione può essere un buon pretesto per riproporre una acuta riflessione di Baricco sul carattere profetico e prodromico della musica pucciniana rispetto agli esiti della musica moderna intesa nel suo complesso non solo come musica colta.

Come osserva Baricco, Puccini, con intuizione geniale e sorprendente, anticipa l’idea di spettacolo propria della modernità e il tipo di pubblico che l’avrebbe caratterizzata. Egli intravede con chiarezza  un quadro del gusto collettivo e delle modalità di fruizione che si sarebbero imposti solo molti decenni dopo, portando ad una radicale ridefinizione del concetto di musica colta sovvertendone, al contempo, molti dogmi come, ad esempio, un certo elitarismo e paludamento.

Non è un caso, che la musica del compositore di Torre del Lago venisse liquidata come  leggera da Adorno, cultore di un’idea esclusiva e aristocratica dell’arte musicale che vedeva nella rivoluzione eminentemente linguistica di Arnold Schönberg il futuro. Il grande merito di Puccini consiste proprio, invece, nella volontà di ridisegnare i confini tra musica colta e musica leggera, con il particolare non trascurabile che ai suoi tempi la musica leggera ancora non esisteva.

Quando Adorno scrive negli anni Sessanta parlando di musica leggera si riferisce ad particolare modello di fruizione, ad determinato sistema di mercato , ad un pubblico particolare che Puccini con rabdomantica, genialità intravede e verso cui con passo sicuro si muove. Significativamente il compositore toscano non ha veri eredi , incarnando l’estremo rappresentante di una tradizione che muore lì nel mentre si apre al futuro.

Scrive Baricco: “l’attesa che intuivano le opere pucciniane avrebbero trovato risposta nel cristallizzarsi della musica leggera a sistema musicale alternativo, forte, autonomo, ricco e vitale. In quel sistema, lo si voglia o no, la modernità si riconosce, oggi, assai più che in quello, laterale, allestito dalla musica colta”.

Lungi dall’essere semplicemente, in termini  denigratori, musica leggera, l’opera pucciniana inventa letteralmente la musica leggera come la conosciamo oggi.

Snodo fondamentale è il venire meno della demarcazione, fin a quel momento rigida e invalicabile, tra opera d’arte e prodotto di consumo. Puccini coraggiosamente capisce che l’opera d’arte, per salvaguardare le sue istanze, deve necessariamente reinventarsi come anomala, scomoda, ridondante merce.

Si passa dall’idea arroccata dell’artista come solitario e aulico pioniere delle altezze dello spirito, all’immagine, a noi più vicina, di un artista come interprete dell’immaginario collettivo. Non è più il pubblico che deve seguire la difficile ascesa dell’artista per le impervie vie del progresso continuo, ma l’arte a farsi carico della necessità di trovare linguaggi e forme espressive per dare voce alle attese  e desideri  dello spettatore.

Una vera e propria rivoluzione copernicana, sicuramente non esente da rischi e pericoli come il facile vellicamento delle mode e la superficiale adesione ad un gusto corrente. Ma è da questa nuova impostazione che nasceranno esperienze fondamentali come il cinema e la musica leggera capaci, come nessuna altra forma d’arte precedente, di indagare e testimoniare il mondo attuale.

All’origine di questo stesso snodo nasce anche l’ambiguità e la complessità delle opere pucciniane che contengono di tutto dal sublime al corrivo, dalla volgarità adusa alla nobiltà più pura. Il tutto posto al di là di ogni demarcazione e definizione, nella precisa volontà di elaborare una nuova idea di spettacolo che regga l’impatto con la modernità.

Una volontà che si manifesta già nella scelta dei soggetti lontani tanto dalla involuzioni ideologiche di un Wagner quanto dalle trame melodrammatiche dell’ottocento italiano. Puccini  predilige storie che abbiano un immediato legame con l’immaginario collettivo del pubblico del tempo con un’esattezza che solo il cinema potrà uguagliare. Alla scelta della storie si accompagna tutta una serie di elementi diversi come, ad esempio, una decisa accelerazione nella intensità spettacolare,  un massiccio ricorso agli effetti  che sollecitino la libidine dell’ascolto, una esasperazione dei sentimenti e la sostituzione dello scavo psicologico con l’emozione immediata. Tutti espedienti utilizzati per confezionare “prodotti che riducessero al minimo i tempi di decodifica e assicurassero un’immediatezza di consumo maggiore possibile”.

Da quanto appena detto, emerge chiara la colossale differenza e distanza tra questo modo di intendere il teatro operistico e le avanguardie. Per quest’ultime, l’incontro con la modernità si risolve in un puro problema di linguaggio con esiti non di rado solipsistici, per Puccini  emerge l’urgenza di elaborare una nuova idea di spettacolo che al gusto moderno renda giustizia e sia accessibile al maggior numero possibile di persone.

La storia a noi più vicina ci ha mostrato con chiarezza la direzione presa dalla modernità, riconoscendo a Puccini un il decisivo ruolo di eccezionale, acutissimo profeta.

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