Il 90% dei live è realmente in playback?

Intervistato da Red Ronnie, Phil​ Palmer ha affermato che l’uso del playback nei live è molto più diffuso di quanto ci si potrebbe aspettare. Il chitarrista ha addirittura parlato di una percentuale pari al 90% dei concerti cui si assiste. Una dichiarazione che deve essere contestualizzata e spiegata nel merito delle esigenze di produzione e ottimizzazione dei concerti.

 

Lo scorso 13 gennaio Red Ronnie ha ospitato nella sua trasmissione Il Barone Rosso Phil​ Palmer, un chitarrista jazz e rock britannico, tra i più noti turnisti in circolazione che vanta collaborazioni con alcuni tra i più grandi artisti internazionali, come Bob Dylan, Frank Zappa, Dire Straits, Pete Townshend, Sakamoto, Eric Clapton, Roger Daltrey, Elton John, Bob Geldof,  ma anche italiani come Ivano Fossati, Renato Zero, Loredana Bertè, Riccardo Cocciante, Francesco De Gregori, Claudio Baglioni, Edoardo Bennato, Eros Ramazzotti, Pino Daniele, solo per citarne alcuni.

Prima della diretta, il conduttore ha voluto sollecitare il suo ospite su un argomento come l’uso del playback nei concerti e la risposta data dal musicista, se non venisse da fonte così autorevole che ha frequentato da protagonista le esibizione live di tutti grandi, potrebbe apparire una boutade. Scrive Red Ronnie su Optimagazine: “Prima dell’inizio del programma mi è venuta una domanda che gli ho fatto: “Quanti concerti oggi sono in half o full playback?” La sua risposta è stata serena quanto decisa: “Forse il 90%”. Per quanto io sapessi che nella maggior parte dei concerti ci sono musicisti o cantanti che mimano l’esibizione su basi preregistrate, mai avrei immaginato una percentuale così alta”.

 

playback

Live, playback e half playback

 

In effetti si tratta di dato che appare semplicemente incredibile e che definire inammissibile è poco. Per capire meglio il senso delle parole di Palmer è bene fare delle distinzioni, perché, in effetti, nelle esibizioni musicali esistono diverse modalità per ottimizzare la performance. Queste modalità sono sostanzialmente tre: il live, il playback e l’half playback. Il live è quando cantante e musicisti si esibiscono integralmente dal vivo senza l’ausilio di registrazioni sia a livello musicale che di produzione, vale a dire, prima della rivelazione di Palmer, quello che normalmente ci aspetta di trovare quando si acquista il biglietto per un concerto.

Il playback per definizione è l’artificio per cui, nel corso di un'esibizione, il cantante e i musicisti si limitano ad eseguire una certa mimica, poiché la voce e la musica che vengono diffuse sono già state registrate in precedenza. Il playback è normalmente utilizzato ad esempio per esigenze televisive, come scrive lo stesso Ronnie: “In TV quasi tutto è playback. Compresi programmi costosissimi. Dubito ad esempio che i protagonisti del Il Cantante Mascherato su RaiUno possano cantare dal vivo dietro quelle maschere enormi. Anche quando qualcuno pretende di cantare live in TV rappresenta un problema e quasi sempre il risultato è disastroso. Ricordo che i Bee Gees volevano cantare live sulle basi a Vota la Voce. Facemmo 3 ore di prove la sera prima per avere un risultato decente. [….] Per tutti è molto più semplice ed economico mandare una registrazione su cui musicisti e cantanti diventano soltanto dei mimi senza stress”.

In alcuni casi il playback viene letteralmente imposto agli artisti dalle produzioni televisive. Celeberrimo il caso dei Queen a Sanremo con Freddie Mercury che salì sul palco dell'Ariston e per protesta contro l’imposizione del playback, smascherò la finzione, allontanando il microfono durante tutta l'esibizione.

 

Nei concerti esiste anche la possibilità dell’half playback quando, per alcune parti musicali, una parte della band non suona realmente ma si utilizzano delle sequenze registrate. Le esigenze che portano ad utilizzare questo espediente possono essere diverse, a cominciare dal fatto che non tutti possono permettersi di portare in tour integralmente tutto il lavoro effettuato in studio, soprattutto se richiede la presenza di un numero consistente di strumenti e musicisti. Per una comprensibile questione di economia della produzione si opta per delle sequenze preregistrate e programmate attraverso un computer.

Ci può essere anche una necessità legata alla scenografia che vuole dare risalto solo ai componenti della band o che materialmente non può ospitare oltre un certo numero di musicisti. Si può anche dare il caso dell’utilizzo di uno strumento particolare che viene impiegato magari solo in un singolo brano e quindi diventa antieconomico potarsi dietro nei live il musicista e la sua strumentazione per farlo intervenire all’interno di un solo contributo.

Si tratta di reali esigenze di ottimizzazione della performance che rendono lecito e comprensibile il ricorso alla tecnologia e in questo senso, sono pratica ormai diffuse e accettata. Alla luce di queste precisazioni, la percentuale cui fa riferimento Palmer acquista un significato diverso e più tollerabile.

 

playback

Dall’uso all’abuso

 

Meno comprensibile e deprecabile quando l’utilizzo all’half playback diventa puro e semplice artificio e finzione. Si paga un biglietto per ascoltare della musica dal vivo e non per assistere ad una pantomima messa in scena da musicisti figuranti che simulano l’esibizione o da cantanti che per qualche motivo (scongiurando incapacità manifesta, diciamo per insicurezza o non perfette condizioni fisiche) non siano in grado di cantare i brani o certi brani o parti di un brano, e abbiano bisogno di un "aiutino" (senza contare l’irritante diffusione dell’uso di certi autotune).

In alcuni casi, si possono verificare anche delle condizioni improvvise ed eccezionali che spingono a fare ricorso a questi espedienti, soprattutto se si parla di produzione ad alto budget che non possono permettersi di perdere delle date, magari sold out. Che poi questa possa essere una giustificazione sufficiente è un’altra questione.

 

lezioni
lezioni