Musicisti si nasce o si diventa?

Frasi come “sono negato per la musica”, “la musica non fa per me”, rappresentano un luogo comune diffuso che in molti casi stronca sul nascere ogni possibilità di intraprendere un percorso di studio musicale, facendo venire meno la necessaria spinta motivazionale.  Ma siamo davvero sicuri che musicisti si nasca e non lo si diventi con la passione e la pratica?

 

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Un pregiudizio diffuso

 

I benefici a livello emotivo, sociale e psicologico della musica sono un fatto ormai accertato da innumerevoli ricerche e studi. Purtroppo nell’educazione musicale e nella didattica della pratica strumentale e vocale si è nel tempo radicato un pregiudizio ancor particolarmente diffuso che in molti casi rischia di spegnere prematuramente e senza motivo ogni interesse per lo studio della musica.

Secondo questo pregiudizio esisterebbe una predisposizione innata nell’individuo che nascerebbe più o meno portato per le abilità musicali o sonore. Nel caso di un talento evidente si sostiene lo studio e la formazione musicale, nel caso di una apparente scarsa propensione si ritiene opportuno rivolgere il proprio interesse altrove, giudicando quel bagaglio innato difficilmente ampliabile.

Il risultato è che molti, pur nutrendo un certa curiosità o avvertendo il fascino dello studio musicale sono, loro malgrado, spinti ad considerarsi inadatti a coltivare questo tipo di studio avendo sperimentato iniziali difficoltà o insuccessi nel percorso di studio musicale. Frasi come “sono stonato”, “non ho orecchio musicale”, “sono assolutamente negato per la musica”, vengono con frequenza ripetute da coloro che sono vittime di questa impostazione di pensiero e tendono a chiudere ogni possibile interlocuzione sulle prestazioni musicali individuali.

Come è facile capire, se si ritiene scarsa la propria attitudine alla musica e quindi insufficiente il proprio bagaglio iniziale indispensabile per mettere a frutto l’apprendimento musicale, si tenderà anche fatalmente a sviluppare una altrettanto scarsa motivazione nello studio e volontà di investire tempo, impegno e risorse personale per progredire nelle proprie abilità e conoscenze. Alla luce di tutto questo, diventa importante riuscire a capire se musicisti si nasce o si diventa.

 

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Le ricerche

 

La questione è stata, in effetti, affrontata dalla psicologia della musica che ha cercato di stabilire se vi sia una reale incidenza del grado di talento posseduto dall’individuo sui risultati della performance musicale o se a determinare questi ultimi non siano altri decisivi fattori, in primo luogo la pratica individuale.

Esiste a riguardo una ricerca condotta nel 1993 da Ericsson, Krampe e Tesch-Römer che, a partire da osservazioni su un gruppo di violinisti studenti di musica, ha cercato di esaminare i vari elementi capaci di influenzare il livello qualitativo dell’esecuzione musicale individuale. In base al giudizio loro assegnato dai propri docenti i partecipanti allo studio sono stati divisi in tre gruppi: i migliori violinisti, i buoni violinisti e gli insegnanti di musica (questi ultimi rappresentano il gruppo con più bassa abilità esecutiva). Lo studio si è avvalso della raccolta di informazioni relative alle varie modalità di studio e pratica strumentale insieme a dati demografici, diari e interviste. Il dato emerso con chiarezza dall’osservazione e studio dei dati è il ruolo determinante della pratica per il raggiungimento di determinati livelli di abilità esecutiva. I gruppi dei migliori e dei buoni musicisti dimostrava di esercitarsi un numero di ore tre volte superiore a quello dei violinisti destinati all’insegnamento. Ulteriori approfondimenti e ricerche hanno anche evidenziato che non è solo una questione di quantità di ore dedicate alla pratica a determinare in maniera esclusiva il successo nell’abilità esecutiva. Uno studio che indaga in maniera più specifica questi aspetti è quello condotto nel 2000 da Williamon e Valentine svolto assegnando un compito di apprendimento a studenti di pianoforte ad un livello avanzato. Si è condotta, in questo caso, una osservazione mirata a considerare sia aspetti di tipo quantitativo (tempo dedicato all’esercizio) sia aspetti qualitativi (metodologia e strategia di esercitazione). Il risultato finale è stato poi sottoposto alla valutazione di un gruppo di pianisti esperti. In questo caso si è potuto stabile la non diretta correlazione tra qualità della performance e quantità di tempo dedicato all’esercizio. Ad influire in maniera decisiva sono intervenuti aspetti qualitativi di stampo progettuale e metacognitivo, come può essere, ad esempio, la strategia di apprendimento scelta o lo stabilire degli obiettivi di apprendimento per ogni seduta di studio. In questo caso a determinare la migliore performance non è il quanto si studia, ma come avviene lo studio.

Quello che in ogni caso rimane l’aspetto di maggior rilevanza è la pratica costante. Un aspetto che emerge in tutta la sua importanza nel lavoro di Platz, Kopiez, Lehmann e Wolf che hanno condotto un meta analisi sulle ricerche che hanno avuto per oggetto la pratica musicale, confermando il ruolo decisivo di quest’ultima sull’apprendimento e il costituirsi dell’abilità musicale su cui poi intervengono anche altri fattori come il processo di insegnamento, la relazione didattica studente-insegnante e fattori di tipo sociale.

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Musicisti si diventa

 

Da quanto emerso nei vari studi che si sono posti la questione, la risposta sembra chiara e univoca: non si nasce musicisti lo si diventa attraverso un percorso di apprendimento che ha nello studio e nella pratica gli strumenti fondamentali. Non si è musicisti per diritto di nascita, ma l’abilità musicale la si conquista con uno sforzo di volontà consapevole, prolungato nel tempo che trova, come ogni processo di apprendimento, un sostegno fondamentale e indispensabile nella figura dell’insegnante. Ulteriori studi potranno far luce su tutta la complessa serie di fattori capaci di influenzare il processo di apprendimento musicale. Tuttavia sfatare il pregiudizio, diventato luogo comune, secondo il quale esisterebbe una predisposizione innata a questo tipo di apprendimento, dovrebbe contribuire a rendere l’esperienza musicale un orizzonte aperto a tutti verso il quale incamminarsi secondo i propri interessi, esigenze e potenzialità senza preclusioni preconcette.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fonte articolo: https://www.stateofmind.it/

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